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All’estero gode di una pessima reputazione, pur essendo un’autentica istituzione – gastronomica e non solo – della sua terra d’origine, al punto da essere celebrato in un celebre poema (Address to a Haggis di Robert Burns). Il fatto è che l’haggis scozzese sconta lo stesso pregiudizio che informa gran parte dei piatti a base di interiora di animale: queste ultime, infatti, rimandano a qualcosa di sporco, viscido, insalubre e macabro, oltre a essere considerate merce plebea, quando non addirittura materiale di scarto.
È stata come sempre la cucina cosiddetta “povera” a incaricarsi di riscattare questi prodotti dall’oblio cui sembravano destinati, e l’haggis non fa eccezione. E siccome in Italia siamo specialisti nel trattare le interiora, trasformandole fino a ottenere dei piatti degni di un ristorante stellato, perché non provare a importare questa prelibatezza nordica, che ha inoltre l’indubbio vantaggio di concentrare in una sola portata gran parte dei nutrimenti essenziali di cui il nostro organismo ha bisogno (proteine, carboidrati, sali minerali, fibre, vitamine)?
Così, accanto alla trippa – frattaglia nazionale per eccellenza, per quanto di origine francese –, alla pajata romana, al morzello calabrese, ai vincisgrassi marchigiani e al lampredotto fiorentino, perché non provare a rifornire i nostri menu di questa peculiare quanto antica invenzione gastronomica, magari opportunamente riveduta e corretta secondo uno stile più mediterraneo? Siamo sicuri che, superata l’iniziale diffidenza, molti commensali finirebbero per innamorarsene.
Cenni storici
Anche se le sue origini sono incerte, l’invenzione dovrebbe risalire all’interazione tra pastori e cacciatori inglesi attivi tra il Lancashire e il confine con la Scozia, che cercavano un modo per utilizzare in cucina le interiora delle bestie da allevamento e della cacciagione. E furono proprio gli scozzesi ad adottare l’haggis come piatto nazionale: i primi riscontri della sua esistenza si hanno intorno ai primi anni del XV secolo.
Ancora oggi, gli scozzesi sono estremamente orgogliosi di questo piatto, al punto che ogni produttore introduce variazioni e personalizzazioni nella ricetta originaria. Di conseguenza, esistono potenzialmente decine, se non addirittura centinaia, di ricette di haggis da cui trarre ispirazione.
Haggis: come si prepara?
L’haggis originale è fatto di interiora di pecora (cuore, polmone, fegato, rognone) macinate insieme a cipolla bianca, sale, spezie (il pepe nero non deve mancare mai, per il resto viene lasciato libero sfogo alla fantasia del cuoco), erbe aromatiche (anche in questo caso si parte da salvia e prezzemolo, ma la ricetta è suscettibile di aggiunte e/o sostituzioni) e abbondanti dosi di farina d’avena.
Quest’ultimo ingrediente è fondamentale, dal momento che proprio l’interazione tra carne e cereale grezzo costituisce la principale peculiarità organolettica dell’haggis. Gli scozzesi usano l’oatmeal, che in realtà è una pappa d’avena ottenuta dai grani bolliti a lungo nel latte, fino a ottenere un composto denso, pastoso e – particolare importantissimo per la buona riuscita dell’haggis originale – molto granuloso.
Per amalgamare alla perfezione gli ingredienti macinati, si utilizza del brodo (in genere di pollame, ma va bene anche vegetale). Dopodiché – e questa è per alcuni la parte più indigesta – si introduce il preparato all’interno dello stomaco della pecora, che verrà successivamente sigillato e messo a bollire per circa tre ore.
Solitamente l’haggis si serve accompagnato da un doppio purè di patate e di rutabaga (i cosiddetti neeps and tatties), anche se in molti apprezzano il suo abbinamento con una fantasia di verdure lesse o alla piastra. Non sono contemplati ulteriori condimenti, all’infuori di una particolare salsa al whisky preparata all’uopo.
Le possibili variazioni
Di per sé, l’haggis è un piatto estremamente saporito ma dai colori alquanto smunti, che non rendono giustizia allo spettro di aromi e sapori che emana dal suo interno. Pertanto, alcune possibili variazioni mediterranee potrebbero riguardare proprio il colore, oltre ovviamente al sapore: introdurre delle macchie di rosso, ad esempio, è possibile, aggiungendo al composto del pomodoro e magari delle carote, e sostituendo le cipolle bianche con quelle rosse. Agli scozzesi suonerà come una sorta di lesa maestà, ma siamo sicuri che il risultato dal punto di vista del sapore sarà eccellente. Anche sui purè di accompagnamento si può giocare con una certa libertà, così come si può contemplare una gamma di salse inventate all’uopo per esaltare il gusto di questa carne magra e saporita (oltre che estremamente nutriente).
Insomma, l’haggis non è soltanto un ottimo piatto nella sua versione classica, ma anche un’eccellente base di partenza per dare libero sfogo alla fantasia e alla creatività dei cuochi più intraprendenti. E ora, come al solito, la parola passa agli chef.