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“Aumenta la percezione dello spreco alimentare. Nella ‘hit’ degli sprechi, fotografata dai nuovi dati 2019 dell’Osservatorio Waste Watcher di Last Minute Market /Swg, il food waste risulta in testa: 7 italiani su 10 (68%, con percezione in aumento: erano 6 su 10 solo 6 mesi fa) dichiarano di sprecare prima di tutto cibo. Le cause? E’ scaduto nel 63% dei casi o ammuffito nel 51%, se n’è acquistato troppo nel 58% dei casi o cucinato in eccesso nel 43%.
A seguire: sprechiamo acqua (52%, in netto aumento rispetto a 6 mesi fa, quando lo spreco idrico riguardava il 37% degli intervistati); mobilità (25%, anche qui in netto aumento dall’8%), energia elettrica (24%), soldi (16%), tempo (14%) e gas (7%)”
Fonte Adnkronos
E I RISTORATORI? COME POSSONO AGIRE PER COMBATTERE LO SPRECO ALIMENTARE?
Il tema dello spreco alimentare e ristorazione è sempre più attuale, soprattutto nei paesi ricchi.
Spesso la ristorazione è uno dei complici più attivi di questo malcostume. Molti ristoranti, infatti, non hanno sviluppato la capacità di razionalizzare gli acquisti, gestire le scorte e utilizzare al meglio le giacenze. Malgrado si tratti di imprese, la cui vocazione dovrebbe essere quella di contenere le spese e massimizzare i profitti, la loro politica di utilizzo delle materie prime è talvolta lacunosa.
Spreco alimentare: i possibili rimedi
Eppure qualcosa si muove, anche all’interno di un universo abbastanza chiuso come quello della ristorazione. In tal senso, molto hanno fatto le opinioni dei clienti e la pressione dell’opinione pubblica. Una sensibilizzazione sempre crescente sull’argomento ha spinto molti ristoratori a rivedere alcuni dei loro protocolli interni di gestione delle risorse alimentari.
Tale revisione ha condotto direttamente all’elaborazione di alcune strategie di utilizzo, o addirittura riutilizzo, del cibo. In altre parole: persino il cibo, in particolari condizioni, si può riciclare. In che modo? Scopriamo le due modalità attualmente più consolidate presso i locali attivi nel settore della ristorazione.
Spreco alimentare e ristorazione: l’evoluzione della doggy bag
Un tempo, la cosiddetta doggy bag era, per l’appunto, niente più di un involucro (fatto di alluminio, carta per alimenti, o addirittura carta di giornale), in cui venivano avvolti gli avanzi di un pasto al ristorante. Non si badava troppo all’estetica giacché, come lo stesso nome suggerisce, il destinatario di tali avanzi era, almeno in teoria, il cane del cliente. Con il passare del tempo, tuttavia, la doggy bag si è evoluta, sia dal punto di vista estetico che sul piano funzionale.
In altre parole, il semplice foglio di alluminio o altro materiale destinato ad avvolgere il cibo avanzato di un pasto, è divenuto un elegante contenitore in materiale biodegradabile, in cui gli alimenti possono essere alloggiati in piccoli scomparti, senza contaminarsi gli uni con gli altri. All’interno del mercato delle doggy bag si muovono concetti come design e stile: molti di questi oggetti vengono pensati per essere esibiti non più con vergogna, ma addirittura come un accessorio di tendenza.
Allo stesso modo, la sua funzionalità è cambiata. Oggi il termine “doggy” è sopravvissuto ma è stato deprivato della sua funzione originaria. La doggy bag contemporanea non contiene più gli avanzi per il cane, bensì quella porzione di pranzo o di cena non consumata, che il cliente può comodamente riciclare a casa nei giorni successivi. In questo modo, un ristorante può evitare di gettare via enormi quantitativi di cibo cotto (quindi, nel 95% dei casi, non riutilizzabile). E al tempo stesso il cliente può disporre di un pasto già pronto – o di una porzione dello stesso – senza mettere mano alle sue scorte alimentari casalinghe. Sia per l’uno che per l’altro, si tratta di un risparmio considerevole e di uno spreco evitato.
Spreco alimentare e ristorazione: il riciclo possibile
Esiste un altro sistema per evitare, o quantomeno ridurre, lo spreco alimentare. Consiste nel salvare – o se vogliamo riciclare, anche se il termine non è del tutto appropriato – quei prodotti che possono essere redistribuiti gratuitamente presso strutture di conforto e aiuto per le fasce più deboli della popolazione. I banchi alimentari, ad esempio, rappresentano degli eccellenti interlocutori in tal senso. Presso di loro si possono consegnare prodotti alimentari a lunga conservazione (preferibilmente scatolame, pasta o cereali) prossimi alla scadenza (ma ancora con un margine temporale decente prima di tale data), di cui si prevede il mancato utilizzo. Sarà poi lo stesso banco a provvedere alla loro distribuzione presso famiglie non abbienti o mense per i poveri.
Un sistema ancora più evoluto, già adottato da molte pizzerie a taglio, forni, panetterie o bar, consiste nel ridistribuire i prodotti da forno presso i ritrovi di senzatetto, ricorrendo ad associazioni di volontariato che si occupano di queste persone. Infatti, per legge i prodotti da forno devono essere consumati in giornata. Se una pizzeria a taglio ha delle giacenze da banco rimaste in orario di chiusura – ma lo stesso vale per i bar e le pasticcerie per le paste fresche e i lieviti dolci o salati – non ha altra soluzione che buttarle.
Molte associazioni si sono organizzate per ritirare queste giacenze direttamente presso l’esercizio e distribuirle ai senzatetto. In questo modo, sarà possibile fornire dei pasti gratuiti a persone meno fortunate ed evitare uno spreco più ingente di quanto si pensi. Quest’ultima strategia è quasi inapplicabile presso i ristoranti veri e propri, anche se un pur minimo margine di manovra esiste.
Possibili alternative per la ristorazione
Altre modalità di riduzione dello spreco alimentare sono allo studio, ma nel frattempo le due sopra menzionate hanno già dato dei primi risultati convincenti. In ogni caso, senso di responsabilità e controllo costante della propria filiera interna, in particolare in sede di rinnovamento delle scorte, rimangono i primi strumenti per combattere tale fenomeno. Solo ottimizzando questi due aspetti si arriverà a una riduzione sensibile degli sprechi. Questo al di là di ogni metodologia messa in atto.