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Volendo dare una definizione degli alimenti a KM 0 ovvero degli “alimenti a filiera corta”, potremmo dire che sono i prodotti locali che vengono venduti o somministrati nelle vicinanze del luogo di produzione.
E questo è generalmente ritenuto come un plus in ambito culinario, soprattutto negli ultimi anni grazie alle meritevoli e indispensabili operazioni di salvaguardia dei prodotti locali. I presidi Slow Food ne sono un esempio. Essi “sostengono le piccole produzioni tradizionali che rischiano di scomparire, valorizzano territori, recuperano antichi mestieri e tecniche di lavorazione, salvano dall’estinzione razze autoctone e varietà di ortaggi e frutta”.
A questo si affianca poi l’enorme fenomeno del turismo enogastronomico quello che ci vede viaggiare per scoprire i prodotti locali, conoscere e sperimentare nuove cucine, nuove coltivazioni… Sì, perché assaggiati sul posto, i prodotti locali hanno tutto un altro sapore. Sono genuini. Aiutano l’economia locale e valorizzano il territorio.
E tutto questo mi aveva convinto. Davo per scontato fosse l’unica verità. E così doveva essere.
Poi un giorno mi ritrovo in Piemonte… un paradiso culinario… tra i miei preferiti. Quella sera, seduto in un ristorante, ho una incredibile voglia di mozzarella…. Quella di Battipaglia…. E poi di gamberi… quelli di Mazara…. E li ordino. Quasi di nascosto. Per non farmi vedere, perché mi sento in colpa. Altro che KM 0 mi dico; mi immagino furgoni e aerei che partono e attraversano 2000 km di territorio solo per me.
Sempre più spesso nei menu leggo “insalata del nostro orto”,” Verdure coltivate da noi”… e dopo aver distrutto il mio tabù, dopo aver mangiato i gamberi a Cuneo, tutto questo mi sembra alquanto strano.
Difendiamo i prodotti locali, certificazioni DOP, vini DOCG. e tutto questo come si combina con il KM 0?
La cipolla di Tropea dovrei mangiarla solo a Tropea?
E il lardo di Colonnata? A Milano è vietato?
E cosa dire delle esportazioni? Le mele trentine il vino italiano, l’olio taggiasco…. Tutto fermo?
Il km 0 sostiene “le piccole produzioni tradizionali” o le uccide?
Non voglio affrontare discorsi di economia globale, pensare per esempio allo sviluppo economico dell’Africa che trova nelle esportazioni di frutta e verdura futuro e speranza, ma ben vengano i prodotti da tutto il mondo, e altrettanto è una fortuna che i prodotti italiani siano esportati in tutto il mondo. Altro che KM 0. Sono orgoglioso che il vino italiano sia conosciuto in tutto il mondo, e se in California si stappa una bottiglia di Franciacorta, perché io qui non posso bere un Shiraz Australiano?
Ecco allora che l'”insalata del nostro orto” che leggo in alcuni menu a 20 € mi appare solo come un’inutile operazione che non arricchisce il consumatore, l’amante della buona cucina, chi ha voglia di scoprire la ricchezza del panorama culinario locale e nazionale, di chi ha il desiderio di vedere menu completi e variegati, ma serva solo ad arricchire le tasche di un ristoratore che credendosi troppo furbo abbatte i costi di acquisto delle materie prime con l’unico scopo di guadagnarci molto di più.
Vittorio Milesi