The Best Fluffy Pancakes recipe you will fall in love with. Full of tips and tricks to help you make the best pancakes.
Un argomento spinoso, quello del critico culinario, per tutti i professionisti del mondo della cucina.
Per questo vogliamo affrontarlo intervistando una delle più attive professioniste in questo campo, Vanessa Tarchiani.
Un breve profilo su di lei.
Anno di Nascita 74, nel passato un diploma di Istituto Tecnico della Moda, Vanessa ha lasciato presto l’amore per il design per seguire la passione per la cucina diventando critica culinaria. Ogni anno ha un’incredibile media di 320 piatti degustati e valutati (quasi uno al giorno) e di recente è diventata Dirigente di Commissione per gli esami di diploma dell’Accademia Italiana Chef.
Buongiorno Vanessa, e grazie di aver accettato di rilasciare l’inteRvista. Prima domanda, cosa è un critico gastronomico?
V.T. Per rispondere alla sua domanda posso iniziare con il dirle che un critico, in qualunque settore, è una persona che per mestiere esprime giudizi sull’operato altrui. Questa definizione si adatta anche al settore gastronomico. La qualità principale richiesta in questo mestiere è la capacità di poter assaggiare un piatto, differenziandolo dal ricordo di un gusto precedentemente memorizzato. Ogni creazione è diversa perchè fatta in quel momento e da quella persona, anche se la ricetta viene eseguita alla perfezione, il sapore può variare in base a vari fattori che non voglio elencare perchè sono parte della mia esperienza e la semplice enunciazione, senza alle spalle la personale sperimentazione, non avrebbero che un valore astratto e per molti incomprensibile. Nell’arte della cucina vi sono delle regole, così come nelle altre arti, ed un piatto può comunicare, a chi lo assaggia, sensazioni ed emozioni, ma la differenza tra un avventore e un critico culinario, sta nella capacità di quest’ultimo di non lasciarsi totalmente trasportare dalle sensazioni organolettiche, differenziando nel piatto il bilanciamento tra l’estetica, il sapore creato dall’accostamento degli ingredienti e la tecnica di esecuzione. Per dare un’obiettiva valutazione, il “Romanticismo” deve essere accantonato perché sarebbe alquanto imparziale farsi condizionare da un gusto che riecheggia “il vecchio piatto della nonna”, dove la nostalgia o i sapori dell’infanzia, potrebbero prendere il sopravvento e in un attimo, da professionisti, ci si ritrova invece a contemplare il passato e i vecchi sapori che in pochi riescono a riprodurre. La critica culinaria onesta e obiettiva avviene nel momento dell’assaggio, senza pregiudizi e nella completa differenziazione di tutti gli elementi proposti.
Critico Gastonomico, il solo nominare questa figura riaccende nella mente tutte le figure di severi e inflessibili insegnanti di cui avere timore. Evoca di per se un po’ di reverenza e qualche sudore freddo. Ma è giusto temere un Critico Culinario?
V.T. Ogni critico ha il suo stile, così come i giornalisti. E’ vero che con l’aumento dell’interesse verso questo settore e l’apertura di portali tematici su internet, c’è stato un sovraffollamento di dilettanti che hanno puntato sulla critica stroncante per salire alla ribalta e questo può contribuire a dare alla nostra figura un’aura di nero. E’ vero anche che spesso chi ha la coscenza sporca sul proprio operato, e parlo dei ristoratori, tende a costruire sulla figura del critico l’immagine dell’acido incontentabile. Ma la verità è che un critico, se è un professionista, non ha bisogno di essere un inquisitore assetato di lacrime per fare il proprio mestiere. Ognuno ha il suo metodo ma reputo che una recensione dovrebbe alla fine dare un punto di vista esterno e consapevole per avvalorare i pregi di un ristorante e indicare i punti deboli per fornire degli spunti di miglioramento. Temere un critico quindi? Assolutamente no, chi non accetta critiche non crescerà mai e soprattutto non verrà mai valutato nè positivamente nè negativamente. Ma è giusto anche dubitare sulla validità della critica.
Quindi, in maniera schietta, come valutare una critica o un critico? Come sapere se fidarci oppure no?
V.T. Personalmente diffido di coloro che usano termini scandalistici e dicono solo male o solo bene, perchè c’è qualcosa che non quadra!
Vi ripeto che nessuno è perfetto e che pochissimi sono totalmente sbagliati.
Quindi due fattori sono da evidenziare, se è “tutto bello o tutto orribile” e “Non ci sono valutazioni tecniche” per me è un dilettante e quello che ha scritto non ha alcun valore.
Ma le sarà capitato almeno una volta di aver trovato un posto da stroncare!
V.T. Già parlare di stroncare non è corretto. Vi posso garantire che è il pubblico, l’insieme dei clienti, che determinano la vita o la morte di un ristorante, non certo lo pseudo Dio “critico culinario”. Se un posto è aperto da anni e continua a funzionare vuol dire che per lo meno il suo lo fa, altrimenti la penuria di clienti lo avrebbe già fatto chiudere. Ecco perchè difficilmente visito ristoranti neo nati, la scopa nuova funziona sempre bene. Mi piace valorizzare la perseveranza nella qualità piuttosto che la semplice innovazione. E per non essere elusiva, non ho mai trovato un locale da stroncare. Magari una sera in cui è andato tutto male mi è capitato di viverla, ma lo vedi che è quella sera che le cose sono andate storte, vedi il cameriere imbarazzato, vedi lo chef adirato, e si respira quell’aria particolare di “catastrofe inattesa”. In quei casi evito di recensire e ritorno come minimo dopo un mese. Ho sempre trovato condizioni radicalmente differenti e ho potuto fare recensioni che reputo obiettive ed efficaci, anche se ovviamente non tutte positive.
Ma come si diventa critici gastronomici? Qualche consiglio per gli aspiranti?
V.T. Non esiste un percorso accademico, al massimo qualche corso che ti insegna la buona strada che però va percorsa in solitario sommando, giorno dopo giorno, gusti e sensazioni. Credo sia l’esperienza e il livello di conoscenza tecnica a rendere un critico un buon critico. E quindi per formarsi professionalmente la direzione è sempre quella di aggiungere quotidianamente “conoscenza” e “casistica” in direzione del saper fornire un vero aiuto. Valutare una pietanza o un servizio senza conoscerne i retroscena è una mossa da ignoranti che non tiene conto dello sforzo creativo dello staff del ristorante. Tutti i colleghi con cui ho avuto modo di confrontarmi avevano in comune il rispetto dell’impresa e una grande passione sia per la cucina che per la scrittura. Inoltre è il pubblico a decretare il successo o meno del critico, per questo dare valutazioni ingiustificatamente positive o negative non ha alcun senso perchè non aiutano nè il ristoratore nè l’avventore e ci si fa una fama di “inattendibilità” difficile da togliere.
Alcuni dei suoi colleghi sono molto reticenti sul parlare del loro lavoro e, soprattutto, non vogliono essere fotografati. Timori fondati in un lavoro come il suo?
V.T. Non parlerei tanto di timori quanto di una naturale tendenza all’autotutela. Diciamo che non c’è un collegio ufficiale di Critici Culinari che detta le regole di questo mestiere, per questo ci si muove quasi sempre da soli, non supportati da una dottrina ufficiale o da un metodo oggettivo e le “Critiche”, come potete immaginare, non sono sempre bene accette. Quindi è giusto cercare di tutelarsi in qualche modo. C’è chi non appare mai in foto, in modo da non essere mai riconosciuto quando visita un ristorante, e firma gli articoli con il suo nome.
Personalmente ho scelto la strada degli pseudonimi, come molti altri colleghi, e quindi non troverete una critica culinaria firmata con il mio nome e cognome. Questo perchè non cerco la notorietà personale ed inoltre mantengo una certa privacy che reputo sana.
Prima ha detto che ognuno ha il suo metodo, quale è il suo?
V.T. Parlavo di un metodo di giudizio, di una serie di elementi da tenere in considerazione. Alla fine tutta l’esperienza determina la valutazione finale, non solo la qualità del cibo. Tralascio di valutare l’ubicazione poichè alcuni posti sarebbero tremendamente avvantaggiati o svantaggiati. Non tutti possono avere un ristorante in Piazza di Spagna.
Al primo posto nella mia valutazione metto sempre il servizio. Parlo della cura, velocità e costanza con cui il cliente è accolto e coccolato fin dopo il conto. Si parte male se non mi fanno sentire benvoluta e considerata. Solo per fare degli esempi accetto il ritardo nella consegna di una pietanza, ma solo se c’è stata la cortesia di scusarsi per l’attesa. Questo perchè la buona comunicazione con il cliente, la voglia di farlo star bene, deve essere al primo posto ed è insita nella tradizione della ristorazione italiana.
Per secondo viene il cibo, in ogni suo aspetto sensoriale. Per terzo la valutazione qualità prezzo.
Parliamo di piatti, quali sono i suoi preferiti?
V.T. Non ho una predilezione specifica. Dall’antipasto al dolce, passando anche dalla degustazione della pizza, mi piace assaggiare di tutto. Ci sono però due categorie principali di preparazioni che prediligo. Quelle semplici che basano la loro alchimia sul mantenimento dei sapori originali dell’eccellente materia prima e le elaborazioni alla ricerca spasmodica di creare sensazioni. Reputo che entrambe mettano in risalto le abilità dello chef, sia il tradizionalista che l’innovativo, e mi permettono di apprezzare tutto il processo creativo, dalla ricerca e scelta degli ingredienti fino all’impiattamento. Mi piace vedere, conoscere, scoprire anche i retroscena prima di potermi permettere una valuzione.
Parliamo in fine del suo ruolo come Dirigente di Commissione per gli esami di diploma dell’Accademia Italiana Chef. Scegliere un critico gastronomico della sua levatura per valutare dei “novizi” non è un po’ eccessivo?
V.T. Vi ringrazio per la considerazione sulla mia figura ma vi invito allo stesso tempo a comprendere che in Accademia non ho a che fare con dei novizi in senso stretto. Che possano avere poca esperienza non ci sono dubbi, ma quando fanno il loro esame sono al termine di un percorso di formazione prevalentemente pratico, con mesi di attività in un ristorante o pasticceria professionale. E proprio perchè sono professionalmente giovani la passione di questi “ragazzi” non è ancora stata affievolita dai taluni meccanismi lavorativi e sociali. Mi trovo spesso davanti ad un livello di qualità, passione e di inventiva veramente lodevole. Così come è ammirevole la tenacia e il coraggio di allievi anche oltre i 50 anni che hanno deciso di cambiare il loro lavoro e rifarsi una carriera come professionisti della ristorazione. Per me è un’esperienza tecnicamente ed emotivamente appagante. Gli esaminandi vengono da tutta Italia e spesso danno alle loro creazioni anche identità regionali, o addirittura paesane, che in altro modo non avrei mai avuto modo di apprezzare.
Non vi nego quindi che mi sento anche fortunata di poter degustare ogni settimana una varietà di creazioni così imponenti ed eterogenee, visto che l’esperienza è la colonna portante del mio lavoro.
La ringraziamo per la sua disponibilità e per la sua schiettezza. Vuole lanciare un messaggio ai nostri lettori della ristorazione professionale?
V.T. Grazie a voi. Sì vorrei solo ricordare a tutti gli operatori professionali che non devono temere le critiche, se sono costruttive, e che la continua ricerca nel far star bene il cliente è l’unica vera meta, il focus operandi, alla base di un’attività di successo.