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Questo è quanto è emerso dall’indagine “Cibo di oggi, cibo di domani“, firmata da Coop e Doxa e presentato all’EXPO 2015, che ha permesso di fotografare e rivelare i segreti delle attuali abitudini a tavola dei cittadini di Italia, Germania, Regno Unito, Stati Uniti, Russia, Cina, India e Brasile.
Grazie a 6.400 persone intervistate, 800 per ogni paese, con età compresa tra i 18 e i 54 anni, è emerso un quadro variegato delle differenti culture e abitudini alimentari attuali nei diversi Paesi, legate a stili e consapevolezze particolari.
Le forti differenze nell’approccio al cibo iniziano fin dalla preparazione del pasto, a cui ci si dedica in media 1,3 ore al giorno, ma con valori nettamente più alti per Paesi come il Brasile, l’India e la Russia. Gli italiani non sono da meno e si distaccano positivamente in questo dai vicini europei dedicandovi mediamente 1,4 ore al giorno.
I popoli dei paesi intervistati sembrano consumare mediamente 1,3 giorni a settimana un pasto take away e 2,8 giorni a settimana consumano pasti fuori casa. Analogamente al dato precedente l’italiano si mostra meno attratto dal take away e dal consumare cibo fuori casa rispetto ad altri Paesi, ma pur sempre con una media di 2,3 giorni a settimana. La vocazione italiana al preferire l’’home made‘ rispetto al consumare le pietanze outdoor è in qualche modo giustificata dalla poliedricità della dieta mediterranea con una varietà di utilizzo di carboidrati, di frutta e verdura. Il consumo di carne si concentra invece naturalmente sui Paesi anglosassoni, ma anche in Cina e Brasile.
Solo una minima parte del Pianeta sembra restia alla contaminazione della globalizzazione del gusto. Appena il 22% del campione dichiara di non mangiare mai cibo etnico e quasi un quarto afferma invece di consumarlo spesso. Il 90% di tedeschi e inglesi dichiara infatti di mangiare etnico spesso o qualche volta. I più diffidenti invece sono i brasiliani e gli italiani. A conferma di questo il nostro Paese presenta una forte tendenza al consumo abituale delle tipicità tradizionali e locali che offre il territorio.
Certamente differenti sono anche i significati che le diverse culture nazionali cercano nel cibo. La ricerca ha messo in evidenza, che per gli italiani il cibo è in primis piacere, poi nutrimento e convivialità, confermandosi amanti del piacere a tavola e delle tradizioni culinarie. Il 34% degli italiani intervistati – che ha potuto indicare tre preferenze – lo associa anche a salute/dieta, mentre solo per l’21% risulta essere influenzato dalla tradizione e dalla religione. Anche Germania e Brasile puntano alla convivialità, anche se i tedeschi sembrano bilanciare con più nettezza nutrimento e piacere. Nei Paesi di cultura anglosassone predomina il significato di nutrimento, seguito dal piacere e dalla forte attenzione alla salute. Per la Cina il tema salutistico è l’elemento di maggiore significato associato al cibo, trovando in accordo il 74% degli intervistati cinesi. In India, invece, una percentuale importante attribuisce al cibo un senso religioso e di tradizione.
E’ curioso osservare come oggi per noi italiani le parole “piacere” e “gastronomia” condividano ed influenzino le scelte gastronomiche. Ma cosa intendono veramente gli italiani con il termine “piacere”? Che la scelta della pietanza sia in grado di saziare la vista, l’olfatto e anche il gusto per completare il piacere di stare a tavola? Oppure, che perlomeno ne soddisfi almeno uno?
La ricerca lascia questo punto di domanda aperto e, soprattutto, stimola un altro curioso ed interessante quesito la cui risposta potrebbe far luce nel business di ristoratori attuali e futuri: Quanto questa ricerca del piacere, conscia od inconscia, guida la scelta del consumatore nell’ordinare una pietanza, nel preferire un ristorante in cui mangiare o, persino, nel preferire uno stile di cucina piuttosto di un altro?
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